Sabato Santo: chi redime la risurrezione di Cristo?

Vorrei partire questa sera dal libro i Fratelli Karamazov… in particolare proprio dai 3 fratelli Karamazov… sono espressione dell’essenza, delle sfaccettature dell’uomo.

Partiamo da Dimítrij Fëdorovič Karamazov: è il più grande. Figlio di primo matrimonio, egli è “passionale e istintivo“, una vera testa calda che non sopporta nemmeno la vista del padre. È la parte di noi più irascibile, pronta a colpire una frazione di secondo dopo essere stata attaccata. Si potrebbe quasi dire che si tratti dell’istinto di sopravvivenza: non si fa tante domande sul perché o per come qualcuno ce l’abbia con lui, pensa solo a uscirne vincitore. Se dovessi descriverlo con un colore, sarebbe sicuramente rosso.

Eppure Dmítrij non è capace solamente di emozioni negative; anche il suo amore è altrettanto ardente. Farebbe di tutto per la donna per cui ha perso irrimediabilmente la testa e non dimentica di offrire la sua protezione anche al fratellino più giovane.

Se Iván Fëdorovič Karamazov fosse una tinta, sicuramente sarebbe un azzurro chiarissimo, simile al ghiaccio.

“Ateo e celebrale“, è sicuramente la parte di noi più logica, più pragmatica. La sua mente analitica è sempre attiva, si pone miriadi e miriadi di domande, non riesce a darsi pace.

Iván riflette, pensa, pondera, elabora fino al momento in cui non si sente soddisfatto della conclusione a cui è giunto, anche nel caso in cui essa sia in contrasto con la morale collettiva. È tenace e calcolatore, ma anche pronto a correre rischi per aiutare coloro a cui tiene.

L’ultimo tra i fratelli Karamazov è Alekséj Fëdorovič, il verde, “angelico, purissimo” Alëša. In lui ritroviamo l’ingenuità, la capacità di amare senza condizioni, di offrire una possibilità anche a chi pare non se la sia meritata. Non a caso, egli è l’unico che riesce a convivere con il padre.

Gli occhi di Alëša non sono velati da preconcetti: egli osserva con sincerità tutto ciò che lo circonda, facendo del suo meglio per prestare soccorso, per dire una parola gentile a chiunque ne abbia bisogno.

È benvoluto da tutti e nessuno vorrebbe fargli del male.

I tre fratelli sono espressione dell’essenza, delle sfaccettature dell’uomo.

Questi uomini, così diversi tra loro, quasi inconciliabilmente distanti, non sono che alcune facce dell’essere umano.

In questa sera di Pasqua non mi chiedo: “Chi di loro si è meritato la Redenzione di Gesù? Chi invece non l’ha meritata?“. Non mi chiedo neppure: “Quale parte di noi stessi merita di essere salvata o redenta e quale no?”

Piuttosto mi chiedo: “A chi di loro Gesù ha parlato così profondamente da cambiare la loro vita?”

Attenti allora al “Il grande inquisitore”, uno dei capitoli più decisivi dei Fratelli Karamazov in cui Dostoevskij ci propone una storia in cui si narra della presenza di Gesù Cristo in Spagna.  Qui viene imprigionato dal grande inquisitore (che rappresenta Satana) per paura che Gesù possa parlare ancora agli uomini e li induca ad una presa di coscienza a proposito della Verità, che è Cristo stesso.

Così Dostoevskij pone sulle labbra di Satana, il grande inquisitore, un’accusa sferzante a Cristo: “Sei tu? Sei tu?”

Non ricevendo risposta, aggiunge: “Non rispondere, taci! E poi, che cosa potresti dire? So anche troppo bene quel che diresti. Ma tu non hai il diritto di aggiungere nulla a quel che già dicesti una volta. Perché sei venuto a infastidirci? Perché sai anche tu che sei venuto a infastidirci. Ma sai cosa accadrà domani? Io non so chi tu sia né voglio sapere se tu sia proprio Lui o gli somigli, ma domani ti condannerò, ti brucerò sul rogo come il più empio degli eretici…”

Qual è allora il compito del grande inquisitore?

  1. prendere il posto di Cristo: “… e saremo noi a sfamarli, nel nome tuo, dando a credere di farlo nel nome tuo.”
  2. realizzare l’opera della felicità universale, correggendola dalla follia irrealizzabile che Cristo avrebbe voluto diffondere con il suo Vangelo, attraverso tre semplici passaggi: la moltiplicazione dell’avere, il valore eminente del fare, ed infine la sottomissione universale alla forza organizzativa del potere.

Qual è oggi la forza di Cristo risorto?

Riscrive il significato dell’avere non come “possesso”, ma come “relazione”. Egli ci fa passare dal “Che cosa cercate?” (Gv 1) al “Chi cerchi?” (Gv 20), poi orienta il “fare” alla “sequela”: ci chiede di continuare a seguirlo: “Ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Infine istaura una nuova dimensione del potere: “Ma Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi”.

“Non avere paura di nulla, non avere mai paura, e non ti crucciare. Se il pentimento non si esaurirà in te, Dio ti perdonerà. Perché non esiste e non può esistere peccato su questa terra che il Signore non perdoni a chi si pente sinceramente”

don Stefano