Erano sempre partiti i primi di luglio. Il primo no, perché c’era troppa folla sui treni; il due o il tre, a volte anche dopo, se i fratelli erano impegnati con gli esami. Fausto aspettava il giorno della partenza con ansia crescente. Non che gli piacesse il mare; ma quel mese scarso di mare era il preludio ai due mesi abbondanti in campagna, che per lui rappresentavano il massimo della felicità.
C. Cassola, Gita in pattino sul mare, in Tempi memorabili, Einaudi Torino
Come ogni estate, il quindicenne Fausto parte da Roma per raggiungere in treno Marina di Cecina e trascorre un mese al mare. A Fausto però il paese non piace, preferirebbe stare a Volterra e passare del tempo con suo cugino Giacomo a parlare di letteratura. A Marina il ragazzo è solo con la madre e il suo unico amico è l’aiutante del bagnino: Enrico, di qualche anno più grande di lui.
Un giorno, per la prima volta Fausto esce a remare con il suo amico bagnino. Lontano dalla spiaggia si accorge che il mare e la terra sono diversi: l’acqua è più azzurra, la spiaggia, la pineta ed il promontorio sembrano più chiari e di un colore quasi innaturale; anche le case di Marina di Cecina acquistano un’altra prospettiva…
Parliamo di Fausto non certo per augurarci “buone e salutari vacanze”, capaci alfine di ritemprare lo sguardo e la vita al ritorno del nostro “travagliousato” di leopardiana memoria.
Per la verità quando ho riletto questo piccolo racconto del Cassola mi è tornato in mente un particolare della chiesa bellissima della Sagrada Familia. Sulla facciata per portale della Natività, su in alto, è posta la scultura del pellicano. Gaudì l’ha incastonata tra due angeli che offrono ad ogni visitatore il pane e il vino, segni eucaristici. Davanti ad essa, quasi ad indicare di che cosa stiamo parlando, ha posto le lettere JHS, che significano: Jesus hominum Salvator (Gesù salvatore del mondo). Nella preghiera dell’adoro te devote, S. Tommaso definisce Gesù “pio Pellicano” (Pie pellicane Jesu Domine). Il riferimento è alla leggenda secondo la quale il pellicano, in periodi di scarsità di cibo, si ferisce per nutrire con il suo corpo i suoi piccoli. Così Gesù ha offerto se stesso per la salvezza del mondo. Gaudì però aggiunge una variabile: questa statua non si riesce a vederla stando in piedi o nelle vicinanze della Basilica. Per poterla ammirare occorre allontanarsi: da lontano sì che la si vede bene, in tutto il suo splendore. L’autore stesso spiega il motivo di questa particolarità: a volte, per apprezzare la Chiesa di Gesù, occorre allontanarsi da essa; e da lontano se ne sente non solo la nostalgia, ma il desiderio di ritornarvi.
Che c’entra quindi Fausto con il Pellicano di Gaudì? A mio giudizio, a volte, da lontano, si scopriono colori, visioni e prospettive che di solito nella frenesia sfuggono. I nostri occhi, molte volte, sono così abituati al paesaggio da non accorgersi più della bellezza che racchiude. Il nostro cuore, molte volte, è troppo abituato alle cose che bisogna fare; il rischio è quello di non gioire più delle cose che si fanno per dovere o -peggio ancora- per abitudine o per “obbligo di firma”. Nella Chiesa e nel mondo si sta per dono e non per obbligo.
Al termine del racconto Enrico invita Fausto a ritornare a riva, ma senza la foga di prima: occorre non solo gustare, ma anche ruminare ciò che si è visto. TUtto questo per non dimenticare e ritornare a non vedere. Questo è solo l’inizio di un’estate che cambierà profondamente Fausto, lo farà crescere, lo farà imparare a scegliere le proprie compagnie e gli farà provare nuove emozioni. E per noi?
don Stefano