Stamani m’è piovuta nel cervello un’idea. – Sentiamola. – Ho pensato di fabbricarmi da me un bel burattino di legno: ma un burattino meraviglioso, che sappia ballare, tirare di scherma e fare i salti mortali. Con questo burattino voglio girare il mondo, per buscarmi un tozzo di pane e un bicchier di vino: che ve ne pare?
Penso che Geppetto tutto si sarebbe immaginato, tranne la fatica che avrebbe fatto per realizzare quell’idea piovuta nel suo cervello. La sola cosa azzeccata del suo pensiero arruffato è l’aggettivo “meraviglioso”. “Meraviglioso” certo non è il viaggio o le peripezie che Geppetto sarà costretto a fare per inseguire Pinocchio; “meraviglioso” invece è la storia del suo burattino.
Desiderio dell’artigiano Geppetto era scolpire il suo strumento di guadagno, ma non appena il falegname si rende conto di aver tra le mani un essere animato comincia subito a chiamarlo “figliolo”. Così il “padre” comincia a prevalere sull’“artigiano”: egli nutre rinunciando alle pere messe insieme per la sua colazione, veste, procura il necessario per la scuola andando a vendersi la casacca in pieno inverno…
Quando Israele era fanciullo, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio… A Èfraim io insegnavo a camminare tenendolo per mano, ma essi non compresero che avevo cura di loro. Io li traevo con legami di bontà, con vincoli d’amore, ero per loro come chi solleva un bimbo alla sua guancia, mi chinavo su di lui per dargli da mangiare. (Os 11,1-4)
È la stessa vicenda di Israele nel suo rapporto con il Signore!!!
Pinocchio corre sempre troppo, anche Israele corre sempre troppo: entrambi non hanno coscienza del tempo che ci vuole per diventare grandi. Geppetto fa un passo alla volta e così ci racconta del suo desiderio: mostrare a Pinocchio la qualità dell’amore del Padre.
Anche Dio opera così!
Ma Pinocchio dovrà lavorare sulla pazienza,
“che è l’arte di vivere l’incompiuto, di convivere con enigmi che sono in noi e a cui noi stessi non dobbiamo apportare il potere di negarci il diritto di vivere. La pazienza ci insegna ad amare le domande senza voler affrettare le risposte. La pazienza ci ricorda che il tempo sensato non è solo quello produttivo, efficace, colmo di attività, ma anche il tempo dell’attesa, dell’assecondare i cambiamenti, dell’accompagnare il divenire e le trasformazioni. La pazienza è forza nei confronti di se stessi e ci rende capaci di accogliere noi stessi e gli altri nei limiti che ci segnano”.
(E. Bianchi, Prefazione a R.M. Rilke, Lettere a un giovane, Qiqajon, Magnano 2015)
Don Stefano