Via Crucis in diretta streaming – 27 marzo 2020 – ore 8.30 e ore 15.00

via crucis in diretta streaming

In questa pagina puoi seguire la Via Crucis in diretta streaming delle ore 8.30 e delle ore 15.00 del 27 marzo 2020 leggendo i testi. Il filo conduttore della celebrazione sarà la figura di Giobbe.

Letture per la Via Crucis in diretta streaming

Dalla veglia per i missionari martiri

I cristiani insopportabili

“… dare soddisfazione alla folla” (Mc 15,15).

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere (Mc 8,31).

Gesù prevede e annuncia le reazioni violente del potere costituito del suo tempo: per questo motivo sarà messo a morte.

I discepoli che scelgono di seguirlo sanno che non si possono immaginare una storia tanto diversa. Il potere del temo reagisce violentemente a coloro che seguono Gesù, parlano come ha parlato Gesù, vivono come ha vissuto Gesù.
Il potere reagisce con violenza e la reazione del potere alimenta la reazione popolare, crea un clima ostile, dichiara Gesù un malfattore contro il quale gridare: “crocifiggilo!”.

Siamo autorizzati a pensare che i martiri, prima di essere uccisi, per creare le condizioni per cui fossero uccisi, siano stati considerati impopolari, antipatici, addirittura pericolosi, non solo per il potere costituito, ma per il sentire popolare, per la gente.

Perché i cristiani sono antipatici?

Ci sono cristiani che si rendono insopportabili per molti motivi: perché hanno un brutto carattere, perché sono prepotenti, perché approfittano della loro posizione per interesse personale o di parte (la tribù, il partito, …), perché commettono abusi. Contro di loro la reazione popolare può essere violenta, fino all’uccisione. Non li chiameremo martiri. Sono insopportabili per comportamenti che non sono cristiani, sarebbero insopportabili anche per i cristiani.

Ci sono cristiani che risultano antipatici fino ad essere insopportabili, proprio perché sono cristiani.

Sono i miti: quelli che non vorrebbero far del male a nessuno, che non vorrebbero mai disturbare, che sarebbero contenti di essere amici di tutti. Se ne stanno tranquilli. Ma viene il giorno in cui, mentre tutta la classe o tutta la piazza sono presi da una passione violenta e applaudono a un capo che promette gloria e ricchezza a prezzo della libertà e della vita di altri, popoli o persone, alzano la mano, chiedono la parola e, per quanto siano spaventati, dicono: “io però non sono d’accordo”. Ricevono fischi e insulti, ma non possono tacere: “io non sono d’accordo”! Come Gesù, sono i cristiani antipatici.

Sono gli operatori di pace: amano la vita tranquilla, non sono litigiosi di natura, anzi non riescono a capire come si possa litigare. Ma viene il giorno in cui vedono il prepotente percuotere l’inerme: si fanno avanti e, anche se sentono una gran paura, si mettono di mezzo e dicono: “Non devi percuotere tuo fratello!”; oppure viene il giorno in cui mentre spirano venti di guerra e si diffonde un ardore che contagia tutti e tutti sembrano entusiasti: “Sì, combattiamo la nostra guerra, recuperiamo la nostra terra, conquistiamoci un posto al sole, andiamo a prendere quello che ci manca. Forza! Andiamo a fare la nostra guerra”. Allora gli operatori di pace si mettono di mezzo e alzano la loro voce per dire: “La guerra è una inutile strage: facciamo la pace!”. Diventano antipatici, sono accusati di viltà e di scarso amore per la patria, antipatici e insopportabili. Non di rado pagano caro il loro mettersi di mezzo. Come Gesù, sono i cristiani antipatici. Sono assetati e affamati di giustizia: si interessano di politica, non perché hanno ambizioni di potere, ma perché hanno a cuore il bene comune, sentono il dovere di costruire un convivere
fraterno; si interessano di economia, non perché amano gestire gli affari e far rendere i loro capitali, ma perché sentono dentro una ferita ogni volta che si accorgono che i ricchi sono abili nel diventare più ricchi e i poveri sono rassegnati a diventare più poveri; si interessano di educazione, non perché sono intellettuali che vogliono farla da maestri, ma perché hanno a cuore che ciascuno realizzi la
sua vocazione e metta a servizio di tutti i suoi talenti. Sono affamati, sono assetati, perciò non risparmiano critiche ai politici, agli economisti, ai sistemi scolastici. Così si rendono antipatici e insopportabili. E chi non li sopporta trova come togliersi il fastidio. Come Gesù: sono cristiani antipatici.

Veneriamo i martiri.

A noi non piace di essere perseguitati, ma le beatitudini, con espressioni così consolanti, si concludono con la beatitudine meno simpatica: beati voi, quando vi insulteranno, vi perseguiteranno.

È la sorte che tocca a coloro che seguono Gesù: non perché abbiano un carattere difficile o siano prepotenti; piuttosto perché sono miti, amano la pace e la costruiscono, sono assetati di giustizia. Noi veneriamo i martiri perché è una conseguenza possibile della sequela di Gesù.

Veneriamo i martiri e ci mettiamo incammino: chi sa, forse sarà dato anche a noi di sperimentare come sia quella gioia dell’ultima beatitudine.


Letture sul tema di Giobbe

Prima lettura

La prova talvolta non unisce, ma divide; la compassione lascia il passo alla recriminazione; la misericordia si deforma in lamentela e persino in disprezzo. Basti pensare alla moglie di Giobbe che ha davanti il marito ridotto a un rudere, colpito da una «piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo» (2,8). È lì, simile a un rottame umano, mentre si gratta con un coccio, immerso nella cenere e nella sporcizia. La donna non riesce più a trattenersi e con ironia gli grida: «Rimani ancora saldo nella tua integrità? Maledici Dio e poi crepa!» (2,9). Una brutalità che purtroppo spesso si ripete in certe famiglie ove tutto sembra andar male e la tentazione di incolpare l’altro diventa forte. È la rottura della relazione e degli stessi affetti. Giobbe lo esprime con un’immagine incisiva: «Il mio alito è ripugnante per mia moglie e faccio schifo persino ai figli del mio grembo» (19,17).

Gianfranco Ravasi

Seconda lettura

Ascoltare non è prestare l’orecchio, è farsi condurre dalla parola dell’altro là dove la parola conduce. Se poi, invece della parola, c’è il silenzio dell’altro, allora ci si fa guidare da quel silenzio. Nel luogo indicato da quel silenzio è dato reperire, per chi ha uno sguardo forte e osa guardare in faccia il dolore, la verità avvertita dal nostro cuore e sepolta dalle nostre parole. Questa verità, che si annuncia nel volto di pietra del depresso, tace per non confondersi con tutte le altre parole (Galimberti).

La domanda che qui si deve porre è: sappiamo dare tempo, attenzione ed energie all’ascolto di chi soffre? E sappiamo ascoltare la sofferenza profonda che è in noi, premessa indispensabile per porci sempre più attentamente in ascolto della sofferenza dell’altro? Ascoltare significa dare la parola, dare tempo e spazio all’altro, accoglierlo anche in ciò che egli rifiuta di sé, dargli diritto di essere chi lui è e di sentire ciò che sente e fornirgli la possibilità di esprimerlo. Ascoltare è atto che umanizza l’uomo e che suscita l’umanità dell’altro. Ascoltare è far nascere, dare soggettività, permettere all’uomo di realizzare il proprio nome e il proprio volto. Ovvero la propria umanità.

Luciano Manicardi

Terza lettura

È santa la collera che tiene in contatto con Dio o con l’altro uomo. La collera di Giobbe esprime la sua volontà di non fare a meno di Dio, di non staccarsi da lui; essa lo mette in un rapporto di opposizione talmente personale con Dio che non può certo accontentarsi di spiegazioni di seconda mano. Rischio della collera è quello di condurmi a troncare la relazione con la persona con cui sono adirato: non esprimo la collera, ma faccio come se l’altro non esistesse più, ne faccio un lutto anticipato. E santa la collera che non si arroga il diritto di fare vendetta dando così il via a una spirale di violenze e ritorsioni senza fine. È santa la collera che non ha in se stessa il proprio fine, ma tende a ritrovare la pienezza della relazione con l’altro. È santa la collera che si accende di fronte all’ingiustizia, all’oppressione, alla violenza perpetrata dai prepotenti. Ed è santa la collera che mi separa da situazioni di violenza subita che rischierebbero di trascinarmi nella confusione e nell’informe e che mi separa da persone che mi manipolano e mi usano. È santa la collera che si dà un limite: “Adiratevi, ma non peccate. Non tramonti il sole sopra la vostra ira” (Ef 4,26). È santa la collera che si scaglia contro immagini colpevolizzanti o distorte di Dio e che rompe con sistemi ideologici o religiosi che contraddicono l’umano, come fa Giobbe che rifiuta il principio della retribuzione. È santa la collera che tende alla purificazione del cuore: si tratta, secondo la tradizione ascetica cristiana, di rivolgere la collera contro ciò che Satana ha seminato nel cuore umano. Così la collera diventa fattore importante di purificazione del cuore in quanto mobilita tutte le energie della persona nella lotta contro il Tentatore. Quest’ultima espressione ci porta a considerare le modalità di terapia, o meglio, di buon uso della collera. Si tratta cioè di recuperare l’energia vitale nascosta nella collera.

Luciano Manicardi

Quarta lettura

Non sprecate le crisi! Ben gestite, le crisi sono dei doni del cielo. La crisi è disordine, movimento, fluidità, rottura, e proprio per questo essa può sciogliere ciò che era legato, liberare ciò che era imprigionato. Quando insorge una crisi, spesso gli interessati, invece di cercare di trarne vantaggio, si danno da fare per chiudere le falle che si erano aperte, per riparare ciò che non può essere riparato, per riformare la superficie e non il fondo. Il loro combattimento di retroguardia fa affondare il battello che vorrebbero salvare. E una volta che la crisi è passata, ecco che le persone, che nel momento dell’anarchia e della rottura erano pronte a cambiamenti inauditi, non solo non ne accettano più alcuno, ma difendono con le unghie o a colpi di cannone ogni millimetro di terreno, ogni privilegio … Che dite? Che la crisi vi prende di mira ingiustamente? Vi scongiuro, fate attenzione alla crisi, non sprecatela. Essa è il vostro tesoro, è la vostra possibilità, è l’avvenire del mondo.

Claude Monnier

Quinta lettura

Tanti anni fa, in un raduno con i miei studenti della scuola dove insegnavo religione, uno di loro è arrivato molto arrabbiato perché uno dei suoi amici aveva avuto un incidente stradale. “Come mai Dio permette il male?” sbotto appena finito di raccontare dell’incidente. Ho iniziato a rispondergli che la vera sfida non era che capitassero queste cose, ma come noi arrivavamo a questi fatti. Per farmi capire, gli ho chiesto: “Se nel cammino di ritorno a casa uno sconosciuto ti desse una sberla, come reagiresti?”. “lo gliene darei due in risposta!”. “E se quando arrivi a casa la sberla te la dà tua mamma?”. Mi ha sorpreso come lui avesse colto la questione: “Le chiederei perché”. “La sberla è materialmente la stessa, perché allora hai risposto diversamente? Perché non hai pensato di reagire con tua mamma come avresti fatto con l’estraneo? La ragione è owia: il rapporto che tu hai da anni con tua mamma. La certezza che lei ti vuol bene ti impedisce di ripagarla con la stessa moneta e ti fa sorgere invece la domanda: perché?”. Questo episodio mi ha fatto capire che ciò che fa la vera differenza davanti al dolore è come ciascuno di noi ci arriva, che esperienza ha alle spalle per reagire in un modo o in un altro. Che cosa ci consente di guardare tutto, anche il male, anche quello che non capiamo, anche quello che ci fa paura, anche quello che vacilla quando la terra trema per il terremoto? Avere alle spalle una storia di rapporto con Dio ci consente di guardare tutto, perfino il male, con la Sua presenza negli occhi, senza fuggire e senza soccombere alla recriminazione.

Julián Carrón

Sesta lettura

La vera novità del Nuovo Testamento non sta in nuove idee, ma nella figura stessa di Cristo, che dà came e sangue ai concetti – un realismo inaudito. Già nell’Antico Testamento la novità biblica non consiste semplicemente in nozioni astratte, ma nell’agire imprevedibile e in certo senso inaudito di Dio. Questo agire di Dio acquista ora la sua forma drammatica nel fatto che, in Gesù Cristo, Dio stesso insegue la “pecorella smarrita”, l’umanità sofferente e perduta.

Benedetto XVI

Settima lettura

Una domanda si presenta continuamente all’animo del malato: «Perché? Perché a me? Perché devo soffrire?». A questa terribile domanda, la più antica dell’Umanità, alla quale Giobbe ha dato la sua forma quasi ufficiale e liturgica, solo Dio, direttamente interpellato e chiamato in causa, era in grado di rispondere, e la questione era talmente enorme che il Verbo solo poteva affrontarla, fornendo non una spiegazione ma una presenza, secondo queste parole del Vangelo: “Io non sono venuto a spiegare, a dissipare i dubbi con una spiegazione, ma a riempire, o meglio, a rimpiazzare con la mia presenza il bisogno stesso della spiegazione”. Il Figlio di Dio non è venuto per distruggere la sofferenza, ma per soffrire con noi.

Paul Claudel

Ottava lettura

Apro il portellino del confessionale e una signora – molto dignitosa nel modo in cui parlava -, dopo un po’ di silenzio, mi disse: “Padre, io bestemmio”. lo, giovanissimo prete, ho detto qualche parola di incitamento al bene, generica. Lei disse: “Io non posso non bestemmiare”. Beh, qui non era più necessario essere vecchio prete; bastava essere giovane uomo per dire: “No, adesso esagera”. “Mi è morto il marito due anni fa. Avevo due figli. Uno è impazzito per la morte del padre e, impazzito, ha ucciso il fratello. Adesso è al manicomio giudiziario di Bologna. Così mi sono trovata improvvisamente sola.” La chiesa era tutta nuda e spoglia, ma aveva un grande crocifisso dietro l’altare: e io, dopo qualche momento di silenzio (perché, che cosa si può dire di fronte a simili situazioni?), le ho detto: “Senta, adesso si alzi, si sieda lì davanti, guardi quel crocefisso: se ha da dire qualcosa, glielo dica”. La signora non si mosse, e dopo un po’ di secondi disse lentamente: “Ha ragione”.

Luigi Giussani